Tutti sanno esattamente cosa dovresti fare.
A quanto pare, tutti gli altri conoscono la strada giusta per te.
Dicono che c’è una vetta. Che vale ogni singolo sforzo. Che una volta arrivato tutto si spiegherà con assoluta chiarezza. Parlano come se l’avessero vista, ma nessuno sa dirti da quale parete scalare l’ultimo tratto, dove fermarti a respirare, come reggere il vuoto che troverai lassù.
Ci hai creduto.
Forse perché quelle voci, ripetute a lungo, finiscono per sembrare la tua. O perché è più facile seguirle che fermarsi a chiedersi se abbiano ragione.
La salita è cominciata subito, in mezzo al chiasso: passi che si calpestavano a vicenda, promesse bisbigliate come segreti, obiettivi appuntati sulle lavagne di riunioni infinite. Una sera sei rimasto sotto i neon dell’ufficio mentre fuori tramontava, un piatto preparato per te si raffreddava a casa, e qualcuno batteva le mani al risultato del giorno. La vetta non si vedeva, ma si diceva che fosse lì, appena oltre l’ennesimo sforzo. Così continuavi a salire, chiedendoti se davvero stessi andando nella direzione giusta o soltanto allontanandoti da un posto che non avresti più saputo ritrovare.
I giorni erano pieni di mani che ti spingevano con entusiasmo di facciata, di sguardi che calcolavano il passo successivo, di domande che non attendevano risposta. Compromessi ingoiati in nome di un bene che non avevi mai visto, e forse nemmeno compreso. A volte, tra le voci, credevi di udire un rumore diverso, remoto, che svaniva appena provavi a seguirlo.
Hai lasciato indietro persone e cose senza voltarti, come si abbandona uno zaino diventato inutile lungo un sentiero impervio. Non sempre lo volevi, ma la salita non perdona deviazioni. Il vento graffiava la pelle, l’aria diventava più tesa e sottile, quasi ostile. Respirare era un lusso da strappare. Sorridevi a denti stretti, anche quando il freddo scavava linee intorno agli occhi, come se un sorriso potesse ingannare il corpo a resistere un altro po’.
Gli anni passavano come strisce di nuvole sopra una cresta di roccia. Accumulavi titoli, onori e stanze illuminate; riempivi calendari e mani tese per stringere la tua, come se quei gesti potessero dare peso a ciò che restava inconsistente. Ma quando la folla si dissolveva, tornava quel rumore sommesso, più opprimente di qualsiasi fatica. Sempre uguale, come un battito che non sapevi se fosse tuo o di qualcos’altro.
Poi, un giorno, la vetta è arrivata. Non come l’avevi immaginata, ma netta, definitiva, senza possibilità di fraintendere.
Lì, dove pensavi di trovare aria nuova, c’era solo un cielo nudo, un vento senza promesse, un’assenza che non concedeva spazio a niente. Hai guardato attorno cercando un senso, e hai visto soltanto pietra e aria. Dal nulla oltre il ciglio è salito un respiro lento, profondo, come se fosse lì da sempre, in attesa di chiunque avesse osato arrivare fin lassù.
Oltre quel margine non c’era sentiero.
Solo un buio fitto che ti osservava senza occhi e che già conosceva il tuo nome.
Eri arrivato.
Ed eri solo.
Aldo Palmeri
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