Può un algoritmo rendere più abitabile la vita condominiale? La domanda, che avrebbe fatto sorridere uno studente di diritto civile fino a pochi anni fa, oggi merita una risposta ponderata. Perché l‘intelligenza artificiale – lungi dall’essere una moda tecnologica o una minaccia distopica – può diventare uno strumento di raffinata utilità nella gestione quotidiana dei nostri spazi condivisi. E lo può fare con sobrietà, senza bisogno di esasperazioni futuristiche, né di abdicazioni alla capacità umana di discernere e mediare. È una presenza silenziosa, non invadente, capace di operare laddove l’uomo si arena, più per inerzia che per volontà.
Prendiamo un caso semplice: il chatbot che gestisce le comunicazioni tra condomini e amministratore. Niente più telefonate a vuoto, email perse o bacheche condominiali degne di un archivio ottocentesco. Il chatbot è attivo, preciso, e soprattutto impermeabile ai toni esasperati del tipico “signor Rossi” del terzo piano. Una sorta di portiere virtuale, capace di rispondere a ogni ora, con impassibile cortesia, alle stesse identiche domande che tormentano l’amministratore da decenni: “Quando passa l’impresa per le pulizie? Chi ha rotto la maniglia del portone? A chi spetta sistemare la grondaia?”. E se a questo si aggiunge un’interfaccia che archivia in modo ordinato ogni interazione, consultabile in tempo reale da ciascun condomino, ci si avvicina a una forma di trasparenza amministrativa che molti consigli condominiali nemmeno osano sognare. Una trasparenza che non si limita all’informazione, ma si estende all’intelligenza della sua trasmissione.
Ma l’IA non si limita alla segreteria. Può suggerire interventi di manutenzione prima che diventino emergenze, analizzando dati storici, abitudini d’uso degli impianti, variazioni nei consumi. Può proporre, con una freddezza benefica, alternative contrattuali più convenienti per le forniture energetiche. Può redigere promemoria intelligenti per le scadenze fiscali, le revisioni degli impianti, le delibere pendenti. Può persino gestire turnazioni per l’utilizzo di spazi comuni, sale riunioni, giardini condivisi, eliminando ambiguità e polemiche. E può aiutare – cosa che nessuno dice abbastanza – a depotenziare i conflitti. Non nel senso distopico di un Grande Fratello digitale che sorveglia ogni gesto, ma piuttosto come strumento di chiarezza e anticipo. Pensiamo a una segnalazione automatica, inviata con discrezione, che ricorda a tutti i condomini che la porta del garage è rimasta aperta, senza puntare il dito su nessuno. O a una sintesi automatizzata delle lamentele ricorrenti che suggerisce proattivamente soluzioni condivise. L’IA, se ben impostata, è preventiva, ed è proprio in questo suo disinnescare le dinamiche velenose che sta la sua forza. Creando un contesto meno propenso all’equivoco e alla recriminazione.
Il punto non è tecnologico, è antropologico. Il condominio è da sempre laboratorio di civiltà: luogo in cui il privato si apre al collettivo, il diritto si misura con il buon senso, e la libertà individuale si modula sulle scale comuni. L’intelligenza artificiale, se ben istruita e umilmente applicata, può raffinare queste dinamiche invece di snaturarle. Può creare una nuova etichetta dell’abitare, più sobria, più efficiente, meno rissosa. Può aiutare a distribuire meglio la responsabilità, a ripensare le assemblee in chiave asincrona e più accessibile, a disinnescare i microconflitti che spesso degenerano proprio perché lasciati senza risposta troppo a lungo. Potrebbe anche rinnovare il linguaggio condominiale, sottraendolo all’ambiguità e alla retorica delle mozioni, per restituirgli chiarezza d’intenti e rigore formale.
Chi pensa che un algoritmo non capisca le sfumature è rimasto indietro. L’IA non ha sensibilità, ma ha memoria; non conosce il tono, ma sa leggere il contesto. E soprattutto non si stanca, non si offende, non serba rancore. In un ambiente come il condominio, dove le relazioni sono tanto inevitabili quanto fragili, si tratta di virtù preziose. Una comunicazione reiterata e rispettosa dei tempi di ciascuno può evitare piccole frizioni; un promemoria ben calibrato può prevenire l’errore prima che si trasformi in accusa. E se ci si abitua a consultare un cruscotto condiviso invece che un vicino irritato, forse qualcosa nel tessuto sociale cambia davvero. Le macchine, da questo punto di vista, non sostituiscono la cortesia: la rendono possibile, anche quando la soglia di sopportazione è colma.
È tempo, dunque, che anche il più restio dei consiglieri condominiali prenda atto: l’IA non sostituisce la convivenza, ma la facilita. Come l’ascensore, come la porta blindata, come la riunione convocata via PEC. Ed è probabile che, tra qualche anno, ricorderemo con tenerezza le discussioni epocali sul cambio dell’amministratore, e ci chiederemo com’è stato possibile affrontarle senza un assistente digitale a fianco. In un futuro prossimo, saranno forse gli stessi condomini a chiedere una “verifica automatica dei verbali”, o un “riepilogo delle decisioni in linguaggio naturale”, come si richiede oggi un bilancio consuntivo. O magari una sintesi delle liti più comuni, con statistiche sull’efficacia dei compromessi adottati!
L’intelligenza artificiale, in questo, non farà che agire da archivio vivente della convivenza, testimone neutro ma presente.
“L’uomo è un animale condominiale”, avrebbe detto Aristotele se fosse vissuto nel secolo delle assemblee su Zoom. E forse avrebbe aggiunto, con una punta d’ironia: “ma lasciate pure che sia una macchina a gestire i millesimi, almeno evitiamo le alzate di mano polemiche e i conteggi approssimativi fatti sul bordo di un verbale”.
Hari De Miranda