martedì, 18 novembre 2025

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Quando un amore finisce: chi paga le rate del condominio in caso di separazione tra moglie e marito

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Dottore, ora che mio marito se n’è andato, chi deve pagare le rate del condominio?

È una delle domande più frequenti che un amministratore si trova a ricevere, spesso al termine di un’assemblea o durante una comunicazione dai toni concitati. Dietro quella richiesta, apparentemente semplice, si nasconde un tema complesso che intreccia diritto civile, obbligazioni e, non di rado, la delicatezza dei rapporti umani che si rompono. In linea generale, per il condominio conta solo una cosa: chi è il proprietario dell’immobile.

L’art. 63 delle disposizioni di attuazione del codice civile è chiarissimo nel prevedere che “chi subentra nei diritti di un condomino è obbligato solidalmente con questo al pagamento dei contributi relativi all’anno in corso e a quello precedente”, e che l’amministratore può agire “nei confronti del condomino moroso per la riscossione forzosa delle somme dovute”.

Ciò significa che, in caso di separazione o divorzio, il condominio non è tenuto a indagare sui rapporti interni tra marito e moglie: l’obbligato principale rimane il proprietario o i comproprietari, a prescindere da chi abiti o meno nell’appartamento.

Se l’immobile è cointestato, entrambi restano coobbligati in solido e l’amministratore può richiedere l’intera somma a uno solo dei due, lasciando a loro il compito di regolare i rimborsi reciproci.

La Cassazione ha avuto più volte occasione di ribadire questo principio, affermando che “l’assegnazione della casa coniugale in sede di separazione non trasferisce la titolarità del bene, ma attribuisce soltanto un diritto personale di godimento” (Cass. civ., sez. II, n. 18493/2016).

Conseguenza diretta: anche se il marito lascia la casa e la moglie ne diventa assegnataria, l’amministratore dovrà continuare a richiedere i pagamenti a chi risulta proprietario in anagrafe condominiale, cioè ad entrambi se l’intestazione è comune.

Un successivo chiarimento è arrivato con la Cassazione n. 11004/2019, che ha ulteriormente precisato come “l’assegnazione della casa familiare non incide sul diritto di proprietà né sul regime delle spese condominiali, le quali restano a carico del titolare del bene”.

Perciò il coniuge assegnatario, anche se utilizza in via esclusiva l’abitazione, non assume obblighi diretti verso il condominio ma potrà essere chiamato a rimborsare l’altro coniuge per la quota di spese sostenute, secondo quanto stabilito dal giudice della separazione o da eventuali accordi privati. Le spese condominiali, poi, non sono tutte uguali.

Quelle ordinarie di gestione – pulizie, luce, manutenzioni periodiche, riscaldamento, assicurazione – rimangono sempre in capo al proprietario. Le straordinarie deliberate prima della separazione restano obbligazioni comuni, mentre per quelle approvate successivamente, se l’intervento riguarda parti dell’edificio di cui il coniuge non assegnatario non gode più, il rimborso potrà essere valutato solo nei rapporti interni tra ex coniugi, mai nei confronti del condominio.

È importante che l’amministratore mantenga una posizione di rigorosa neutralità: “Il condominio non si occupa di sentimenti ma di proprietà”, direbbe qualcuno con pragmatismo. In effetti, l’amministratore non deve farsi coinvolgere in dispute personali, né modificare l’anagrafe condominiale o l’intestazione delle comunicazioni senza un atto formale – come una sentenza passata in giudicato o un atto notarile di trasferimento – che accerti il cambiamento di titolarità.

Qualsiasi richiesta di cambiare intestazione basata su separazioni di fatto o provvedimenti non definitivi va respinta, perché il condominio non può assumersi il rischio di attribuire erroneamente obblighi e diritti. La giurisprudenza più recente ha confermato che il vincolo condominiale è oggettivo e segue il bene, non la persona che lo utilizza: “Le obbligazioni condominiali gravano su chi è titolare del diritto reale sull’unità immobiliare, e non su chi ne abbia la mera detenzione” (Cass. civ., sez. II, n. 23630/2021).

Anche in questo senso, il condominio non è parte del conflitto, ma custode della neutralità contabile. Può apparire freddo, ma è l’unico modo per garantire parità di trattamento e trasparenza nei confronti di tutti i condòmini. Quando un amore finisce, insomma, il cuore può restare ferito ma il bilancio condominiale deve restare in equilibrio.

E se la vita coniugale si divide, il registro contabile non si divide con la stessa leggerezza. “Gli amori passano, i ratei restano”, potremmo dire con un pizzico di ironia, ma dietro quella battuta c’è una verità giuridica precisa: fino a che un immobile non cambia proprietario, l’amministratore ha un solo interlocutore – o due, se cointestatari – ed è a loro che spetta il dovere di contribuire alle spese comuni.

L’amministratore, dal canto suo, deve saperlo ricordare con fermezza e sensibilità, consapevole che, tra le tante separazioni che gestisce, quella tra diritto e sentimento è spesso la più difficile da spiegare.

Gianluca Carullo

10-12 OTTOBRE | VARESE - Palazzo Estense

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