Era il 2020, e per qualche mese i condomìni italiani si sono trasformati in piccole comunità di resilienza: canzoni dai balconi, vicini che si aiutavano con la spesa, applausi collettivi ogni sera alle 18. Poi, il silenzio. Poi, la distanza.
A cinque anni dall’emergenza Covid, com’è cambiata davvero la vita condominiale? È rimasto qualcosa di quello “spirito collettivo”, o siamo tornati — o forse andati — verso una convivenza più isolata?
Più attenzione, meno contatto
Una delle eredità più evidenti è l’aumento della consapevolezza degli spazi comuni: scale, ascensori, androni sono diventati luoghi “sensibili”, non più neutri. Si è fatta strada un’educazione nuova: più rispetto per l’igiene, più attenzione agli altri, ma anche più diffidenza.
Molti condomìni hanno mantenuto dispenser di igienizzante all’ingresso e cartelli informativi, e le assemblee si sono digitalizzate: piattaforme online, voti a distanza, riunioni ibride. Una modernizzazione nata dall’urgenza, ma che in molti casi ha migliorato la partecipazione.
Smart working e convivenza forzata
Lavorare da casa, per settimane o mesi, ha trasformato gli appartamenti in uffici, e i condomìni in ambienti più “vivi” durante le ore del giorno. Con esiti misti: maggiore vicinanza tra vicini, ma anche più frizioni per rumori, spazi contesi, gestione dei pacchi.
Il confine tra vita privata e vita condivisa si è assottigliato. Alcuni stabili hanno ripensato l’uso degli spazi comuni, creando piccole aree relax, coworking condominiali, o semplicemente valorizzando il giardino sotto casa.
Nascono (e muoiono) i gruppi di vicinato
Durante la pandemia, molti hanno creato gruppi WhatsApp condominiali: strumenti utili per coordinarsi, ma anche fonti di tensioni. In alcuni casi, si sono mantenuti nel tempo come spazi di comunicazione rapida. In altri, si sono trasformati in luoghi di controllo, polemica o silenzio totale.
Il bisogno di comunicare, emerso nei momenti più difficili, si è spesso scontrato con vecchie abitudini di riservatezza, tipiche della cultura condominiale italiana.
Una comunità possibile?
Ciò che la pandemia ha insegnato — e che in parte è rimasto — è che il condominio può essere una comunità, se si vuole. Ma perché ciò accada, servono tempi, spazi e rituali condivisi: una riunione ben condotta, una festa in cortile, una bacheca gentile, una parola detta nel pianerottolo.
Cinque anni dopo, ci siamo un po’ richiusi, ma non siamo più gli stessi. Abbiamo scoperto cosa significa condividere non solo i muri, ma anche la fragilità.
Il futuro è nel mezzo
Il condominio post-Covid non è né quello rumoroso del lockdown, né quello muto e frettoloso di prima. È un luogo in trasformazione, dove la possibilità di costruire relazioni nuove esiste, ma va alimentata.
Perché oggi più che mai, vivere bene in condominio non è solo una questione di muri, ma di confini da rispettare e ponti da creare.
Redazione