mercoledì, 6 agosto 2025

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Quando un articolo diventa veicolo di aiuto: il potere della condivisione in condominio

L’avevamo scritto con tono misurato, sottolineando l’importanza di parlare di burnout. Il nostro articolo sulla storia di Chiara, giovane amministratrice di condominio entrata nel girone dantesco dell’esaurimento, aveva scosso le acque del settore: Il primo passo per salvarsi è parlarne – esperienza di Chiara, amministratrice con burnout.

Avevamo sperato di aver acceso una luce, ma non ci aspettavamo la reazione. Da quella prima testimonianza, altri professionisti – soprattutto uomini – hanno bussato alla nostra redazione. E oggi raccontiamo il punto di vista di uno di loro: un amministratore che ha trovato il coraggio di uscire dal silenzio, di denunciare la stanchezza, di confrontarsi con colleghi senza vergogna.

La fragilità oggi è protagonista

Lui, chiamiamolo Marco, fa questo lavoro da quasi vent’anni. Ha una voce decisa, ma quando parla sembra che da troppo tempo trattenga un sospiro. Ci ha scritto dopo aver letto l’articolo su Chiara: «Solo perché sono uomo, nessuno pensa che io possa bruciare. Ma sì, anche io ho pianto davanti al calcolo delle spese straordinarie, alle liti continue, alla gestione dei conflitti». Quella frase era uno squarcio. Ci ha chiesto di usare un nome di fantasia per tutelare la sua privacy, ma ci ha dato fiducia nel condividere il suo vissuto – e per questo gliene siamo grati.

Come Chiara, anche lui ha vissuto mesi in cui il telefono squillava anche di notte, in cui gestire una pandemia era meno difficile che fissare un’assemblea. Ha corso, ha pagato cauzioni in banca per lavori che non partivano, ha affrontato finti divorzi che diventavano faide condominiali. Allora, ci scrive, il nostro articolo è stato un segnale: “Non sono un caso isolato. Non sono pazzo”.

Burnout non ha genere

Questa emergenza esistenziale non ha colore né sesso. La nostra redazione ha ricevuto sia da Chiara che da Marco centinaia di messaggi anonimi, in cui l’unico filo comune era la fatica. Fatica emotiva, fatica fisica, fatica burocratica. E anche un senso di colpa: quello di sentirsi inadatti in una professione che – magari – credevano di aver scelto per vocazione.

Da qui nasce una riflessione chiara: fin quando il burnout resterà un fatto personale e non un tema collettivo, rischia di essere una voragine. Dobbiamo cambiare narrazione: ammettere di averne bisogno non è segno di debolezza, ma di intelligenza sociale.

Terza voce: il suddetto uomo racconta

Marco ci ha concesso un’intervista scritta. Ecco alcune sue parole, cariche di fragilità ma anche di speranza:

«Ho visto rifugiarsi dietro lo schermo del PC le mie emozioni, ho smesso di dire di no, di sfogarmi. Poi incontro il vostro articolo. Ho capito che dire ‘non ce la faccio più’ non è una resa. È un atto consapevole».

Le sue parole toccano un punto nodale. Il burnout non è solo carico di lavoro. Spesso è carenza di riconoscimento, isolamento nel ruolo, mancanza di supporto. Il fatto che un uomo suoni la sveglia sul tema significa che la condivisione non ha più freni. E se uscisse dalle chat private delle associazioni per diventare discussione pubblica?

Cosa possono fare i condomini?

Quando un amministratore – uomo o donna – tira fuori difficoltà reali, i condomini dovrebbero:

  • Uscire dal giudizio e chiedere: «Come posso aiutarti?»
  • Richiedere una comunicazione più umana e meno tecnica: l’assemblea non è un tribunale, ma luogo condiviso
  • Sostenere forme di supporto, come servizi di mediazione o percorsi chiari di ingaggio con l’amministratore
  • Non delegare tutta la convivenza al professionista: il condominio è comunità, non un super lavoro da solo

Il ruolo delle istituzioni e delle associazioni

Per chi vive la professione da anni, l’imperativo oggi è chiedere a gran voce una riforma culturale: supervisioni periodiche, momenti di debriefing in gruppo, tutela psicologica… un welfare invisibile che valga anche per i gestori delle nostre case. Chiara e Marco non chiedono pietà, chiedono rispetto e strumenti concreti.

L’importanza del racconto

Le testimonianze servono perché spezzano la normalità del silenzio. In questo caso, il racconto di Chiara ha generato il racconto di Marco. E chissà quanti altri arriveranno. Una volta le cronache parlavano delle assemblee incendiarie. Oggi possiamo raccontare anche delle assemblee dove si chiede il tempo di rimettersi in piedi.

Un invito a chi legge

Se anche tu – condomino o professionista – hai vissuto o vissuta momenti simili, prova a dire: «Ne ho bisogno anch’io». Fallo magari in una chat del condominio, o via mail all’amministratore. La paura di sentirsi soli è più dolorosa del sentirsi capiti. E chi sa capirti può essere al tuo fianco anche per tamponare un’emergenza.

Conclusione: comunità che salva

La rivoluzione non sarà epocale, ma silenziosa. E partirà da piccoli gesti: un messaggio, un incontro al cortile, una richiesta di assemblea per parlare di carichi morali e psicologici. Perché il condominio non è solo mattoni e spese. È la casa dove vivere insieme, non sopravvivere da soli.

Grazie a Chiara per aver iniziato la conversazione. E grazie a Marco per averci mostrato il secondo capitolo: quello in cui il racconto non si interrompe, ma diventa salvezza condivisa.

📌 Se vuoi vedere altri articoli e storie vere sul burnout in amministrazione condominiale, visita Benvenuti in Condominio – Attualità o leggi il primo caso qui: Il primo passo per salvarsi è parlarne

Redazione Benvenuti in condominio-Quando un articolo diventa veicolo di aiuto: il potere della condivisione in condominio