Alle 16:30 in punto, il piccolo cortile del condominio di via Verdi si anima. È un momento preciso, quasi rituale. Si aprono portoncini, si sentono richiami di mamme stanche e bambini scatenati. Arrivano con biciclette troppo piccole o troppo grandi, palloni sgonfi, bolle di sapone, gessetti colorati. I più fortunati hanno un giardino condominiale; i meno fortunati si accontentano del vialetto d’ingresso, delle aiuole, di quello spiazzo tra i box che durante il giorno fa da parcheggio e nel pomeriggio si trasforma, magicamente, in un campo da calcio.
Inizia così l’ora del gioco. Che per gli adulti, spesso, diventa l’ora del fastidio.
Lo sappiamo, perché i verbali condominiali parlano chiaro: le lamentele contro i bambini sono tra le più frequenti, dopo le infiltrazioni e le morosità. Si sente dire “urlano troppo”, “corrono ovunque”, “tirano la palla contro i muri”, “non si può riposare in pace”. E magari tutto questo è vero. Ma il punto è un altro. Che il gioco, per un bambino, non è un passatempo: è un diritto. Un diritto riconosciuto dalla Convenzione ONU sui Diritti dell’Infanzia e dell’Adolescenza, ratificata anche dall’Italia nel 1991. All’articolo 31 si legge chiaramente: “Gli Stati parti riconoscono al fanciullo il diritto al riposo e al tempo libero, a dedicarsi al gioco e ad attività ricreative proprie della sua età.”
Eppure, nel vivere condominiale, questo diritto viene spesso ridimensionato, contestato, negato nei fatti. Non perché i condomini siano “contro i bambini” – quasi nessuno lo direbbe apertamente – ma perché il gioco viene considerato rumore. E il rumore, si sa, è regolato, misurabile, discutibile.
È in questo cortocircuito tra diritto e tolleranza che si consumano le piccole guerre quotidiane nei nostri palazzi. Da una parte ci sono genitori che provano a spiegare che è estate, che i figli stanno qualche ora all’aria aperta prima di cena, che meglio una corsa nel cortile che una giornata intera davanti al tablet. Dall’altra, ci sono pensionati che hanno bisogno di riposare, smart workers che cercano concentrazione, persone che si sono appena trasferite e pensavano che quel palazzo fosse “tranquillo”.
Nel mezzo, ci sono gli amministratori, che ricevono email accaldate, telefonate nervose, missive con oggetto “rumori molesti”. E che si ritrovano a dover mediare tra esigenze reali, emozioni forti e norme che – lo diciamo chiaramente – non vietano ai bambini di giocare, ma nemmeno obbligano gli adulti ad accettare ogni tipo di disturbo.
La verità, come spesso accade, sta nel mezzo. E ci impone una riflessione più ampia: cosa significa, oggi, vivere in condominio sapendo che ci sono anche bambini? E ancora: come si può conciliare il loro diritto al gioco con il diritto alla quiete degli altri residenti?
Per iniziare, sarebbe utile cambiare la narrazione. Non “sopportare i bambini”, ma accoglierli come parte del paesaggio umano. Perché un condominio senza bambini è un luogo che lentamente si spegne, invecchia, si isola. I bambini portano vita, e la vita – sì – fa rumore. Ma un rumore che racconta vitalità, che può essere incanalato, non represso.
Serve anche progettazione. Quando si costruisce o si ristruttura un condominio, si pensa sempre al posto auto, mai al posto gioco. Eppure basterebbe poco: una piccola area sicura, delimitata, attrezzata. Uno spazio comune che aiuti a separare la sfera del gioco da quella del passaggio, dell’accesso alle abitazioni. Spesso, negli edifici costruiti tra gli anni ’60 e ’80, c’era una logica più “sociale” negli spazi comuni: il portico, il cortile, la panchina. Oggi, invece, tutto è ridotto all’essenziale, come se il vivere in comune fosse un danno da minimizzare. Ma il condominio non è un albergo: è un insieme di persone. E le persone, a volte, giocano.
Anche i regolamenti condominiali possono fare la loro parte. Non per proibire, ma per indicare tempi e modalità del gioco, evitare conflitti inutili, promuovere la convivenza. Stabilire, per esempio, che dopo una certa ora si giochi senza palla, che non si usino biciclette vicino agli ingressi, che si alternino i giorni tra le fasce d’età. Sono compromessi di buon senso, che vanno discussi insieme, magari in assemblea, magari coinvolgendo anche i bambini stessi, che spesso sono molto più maturi di quanto si creda.
Infine, serve una dose sana di empatia. Perché dietro a un bambino che gioca c’è una famiglia che prova a vivere serenamente. E dietro a un anziano che protesta c’è magari una persona sola, o stanca, o spaventata da quello che non conosce. L’empatia non è una regola scritta, ma è la base di qualsiasi buona convivenza. Se imparassimo ad ascoltarci di più, forse non servirebbero tante lettere e liti.
C’è un aneddoto, accaduto in un condominio di provincia, che racconta bene cosa si intende per “soluzione condivisa”: il cortile era stato vietato ai bambini dopo una serie di lamentele. Le mamme hanno chiesto di poter organizzare due pomeriggi a settimana con giochi strutturati, supervisionati da un adulto. Il sabato è diventato giorno di “torneo di biglie”. Gli anziani, all’inizio scettici, hanno iniziato a uscire in cortile per guardare le sfide, raccontare com’era “il gioco ai loro tempi”, regalare consigli e qualche biglia vintage. Oggi, quel condominio ha una panchina con un cartello che dice: “Qui si ascoltano le storie e si lanciano le biglie”.
Non servono grandi rivoluzioni, né decreti legge. Serve solo ricordare che ogni bambino che gioca sotto casa è una dichiarazione di speranza. Che sta dicendo al mondo: “Io sono qui, cresco, mi diverto, faccio parte di questo posto.” E se un condominio non è in grado di accoglierlo, allora è il condominio a dover cambiare.
Redazione Benvenuti in Condominio-Giocano troppo: ma i bambini hanno diritto di esistere anche in condominio