C’è un’antica verità che resiste ai secoli e ai cambi d’arredo: la casa racconta molto più di quanto siamo disposti ad ammettere. È il nostro rifugio, il nostro palcoscenico privato, il luogo dove smettiamo di recitare e ci abbandoniamo – con tutte le sfumature del caso – alla nostra autentica personalità. Ma quando questa dimensione individuale si inserisce in un condominio, la scena si amplia e diventa corale: un intreccio di storie, abitudini, idiosincrasie. Un agglomerato umano che sa essere paradiso e inferno, a volte nello stesso pianerottolo.
L’intimità dell’interno: una casa, una personalità
Entrare nella casa di qualcuno è come sfogliare le pagine di un diario personale. C’è chi vive nel minimalismo asettico, tra superfici lucide e ordine maniacale: spesso, sono gli stessi che non sopportano rumori fuori orario e affiggono con zelo i regolamenti in ascensore. Poi ci sono gli accumulatori seriali, quelli per cui ogni oggetto ha “una storia”, che convivono con pile di riviste del 2003 e piante moribonde. Ogni appartamento è una capsula di mondo, dove si manifestano estetica, valori e nevrosi.
Non è raro che la scelta dei colori delle pareti, la disposizione dei mobili o l’invasione sonora delle passioni (dal pianoforte alle partite urlate in TV) siano espressioni vivide di ciò che una persona è – o vorrebbe essere.
Il condominio: laboratorio umano in scala ridotta
Ma l’individuo, per quanto geloso della propria indipendenza domestica, non è mai solo. Il condominio è un microcosmo in cui l’intimità sfiora costantemente la collettività. È lì che l’insofferenza per il rumore dei tacchi del piano di sopra si scontra con la tolleranza selettiva per il proprio cane che abbaia di notte. È lì che la solidarietà prende forma nel prestare un trapano al vicino, e si disintegra quando ci si ruba il posto auto.
Nel condominio convivono virtù – pazienza, ascolto, senso civico – e vizi ben radicati: l’indifferenza, il pettegolezzo, l’insofferenza alle regole (altrui). In certi casi, è la versione urbana del “paese”: ci si conosce, ci si sopporta, ci si giudica. In altri, è un susseguirsi di porte chiuse, dove il buongiorno è un optional e l’assemblea di condominio è l’unico momento in cui si percepisce la dimensione collettiva. E nemmeno troppo volentieri.
Una palestra di umanità imperfetta
Il bello (e il difficile) del vivere in condominio è proprio questo: imparare a convivere. È un allenamento quotidiano alla tolleranza, alla diplomazia, al compromesso. È il luogo dove la propria casa finisce, ma la propria responsabilità no. È una palestra di umanità imperfetta, dove ogni giorno si misura la distanza tra l’io e il noi.
E forse è proprio qui che il condominio diventa qualcosa di più di un insieme di appartamenti: diventa uno specchio della società. Con le sue contraddizioni, le sue difficoltà, ma anche con le sue potenzialità. Perché basta una porta che si apre al momento giusto, un gesto inaspettato, un sorriso tra estranei, per ricordarci che, in fondo, siamo tutti coinquilini dello stesso grande edificio chiamato vita.
Redazione